Tranquillanti e sedativi. Il fenomeno dei farmaci psicoattivi utilizzati per motivi non medici è legato intrinsecamente all’aumento della loro disponibilità nella società e al boom delle malattie la cui cura prevede, appunto, farmaci. Un fenomeno che porta a chiederci se siamo tutti più malati, se sono gli strumenti diagnostici ad essere cambiati o se è il concetto di malattia ad essersi allargato. Domande che si è posto Allen Frances, professore emerito di psichiatria presso la Duke University School of Medicine di Durham. "Secondo il National Institute of Mental Health, il 20-25% della popolazione adulta degli Stati Uniti, circa 45 milioni di persone, soffre di una qualche forma di disordine mentale - spiega - il 40% dei bambini viene diagnosticato un disturbo bipolare mentre si stima che entro i 32 anni di età al 50% della popolazione viene diagnosticata una sindrome di ansia, al 40% un qualche disturbo dell’umore o una forma di dipendenza. Poiché nell’ambiente non sono avvenute modifiche di tale entità, è la griglia diagnostica ad essersi allargata".
In Italia la situazione non è ancora a livelli degli Stati Uniti ma ci stiamo arrivando. Secondo dati Espad, i sedicenni italiani sono quarti in Europa per il consumo di tranquillanti e sedativi senza prescrizione medica e quindi per ottenere altri effetti. Sopra tutti, i farmaci per l’iperattività, un anfetamine-mimetico che in assenza della patologia ha effetti eccitanti. I giovani, complice anche la rete, sanno bene che se prendono un ipnotico o un barbiturico e lo associano all’alcol l’effetto di quest’ultimo viene amplificato. Insomma, siamo di fronte ad una generazione di consumatori consapevoli che, in una società invasa dai farmaci, hanno accesso a questi medicinali a partire dall’armadietto nel bagno dei genitori.
Estratto da un recente articolo di Andrea Indini - Il Giornale
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